Alopecia indotta da oncoterapia

Alopecia indotta da oncoterapia

L’alopecia indotta da chemioterapici (CIA) rappresenta uno degli aspetti più sconvolgenti per i pazienti oncologici, influenzando negativamente l’immagine del corpo, la sessualità, l’autostima, fino ad indurre l’8% dei pazienti a rifiutare il trattamento chemioterapico, che potrebbe salvargli la vita, pur di non incorrere nel rischio di perdere i capelli, con conseguente modificazione del proprio aspetto ed alterazione della vita di relazione. Tra i fattori di rischio per la perdita dei capelli dev’essere considerata l’eventuale associazione con la radioterapia e non vanno trascurate le caratteristiche del paziente come l’età e il sesso, nonché la presenza e/o la predisposizione di altre condizioni patologiche presenti a livello del cuoio capelluto (alopecia androgenetica, alopecia areata …). I chemioterapici citotossici sono quelli che si associano alla forma più nota e più impattante di caduta di capelli, che avviene entro pochi giorni dall’inizio della terapia ed è spesso massiva. L’introduzione dei farmaci target nel trattamento antitumorale, pur avendo ridotto l’incidenza degli effetti collaterali associati ai chemioterapici citotossici, non risulta priva di eventi avversi su cute e annessi, risultando anch’essa responsabile di vari gradi di alopecia. Infine una classe di farmaci utilizzata nel cancro mammario ormone responsivo è rappresentata dagli inibitori dell’aromatasi; essi sono associati ad un’alopecia con un particolare pattern caratterizzato da arretramento dei golfi bitemporali, mimando un’alopecia androgenetica a pattern maschile nella donna. Alla luce delle diverse tipologie di farmaci utilizzate risulta opportuno distinguere tre tipi di alopecia chemioindotta, l’alopecia da chemioterapici citotossici, alopecia da target-therapy e alopecia da terapie ormonali. Un cenno a parte merita inoltre l’alopecia indotta da radioerapia.

Nella gestione delle diverse forme di alopecia in corso di oncoterapia, la tricoscopia e il tricogramma assumono un ruolo importante per l’individuazione delle alterazioni specifiche e/o aspecifiche del follicolo e del fusto del capello indotte dalla chemioterapia durante e dopo il trattamento, nonché di quelle preesistenti. Prima dell’inizio del trattamento, la tricoscopia associata al tricogramma può fornire elementi per la valutazione di una patologia latente o preesistente. Essa può, ad esempio, individuare: anisotrichia e riduzione delle unità follicolari nella alopecia androgenetica; yellow dots nell’alopecia areata, nell’areata incognita e nel telogen effluvium; pattern vascolari specifici delle patologie infiammatorie del cuoio capelluto (psoriasi/dermatite seborroica/dermatite atopica). L’utilizzo del tricogramma ci consente di valutare all’istante il rapporto anagen/telogen; tale dato, associato alla tipologia di trattamento (farmaco, associazione di più chemioterapici, dose, durata e modalità di somministrazione), ci permetterà di effettuare una previsione sui tempi di insorgenza, sulla prevalente modalità di caduta dei capelli e sulla comparsa dell’alopecia. Al fine di quantificare la caduta dei capelli, qualora essa si verificasse, l’esame clinico deve comprendere la valutazione della perdita dei capelli attraverso l’utilizzo di scale di gravità. Infine, l’aspetto relativo alla reversibilità o meno di tale perdita sarà da stabilire a posteriori (dopo almeno 6 mesi dal termine della terapia).

Alopecia da chemioterapici citotossici

 L’incidenza dell’alopecia indotta da chemioterapia (CIA) è stimata intorno al 65%, anche se la prevalenza e la gravità sono correlate alla categoria e al numero dei farmaci somministrati, alla dose, alla modalità e alle tempistiche di somministrazione. In particolare, con i chemioterapici antimitotici si segnala un’incidenza maggiore dell’80%, con gli inibitori delle topoisomerasi tra il 60% e il 100%, mentre si riduce a circa 10%-50% con gli antimetaboliti. L’utilizzo di protocolli polichemioterapici è associato ad un tasso di incidenza più elevato rispetto alla monoterapia. La patogenesi sarebbe ascrivibile soprattutto all’induzione del processo di apoptosi mediato da p53. La morte delle cellule altamente proliferanti del follicolo porterebbe all’arresto della formazione del capello. I meccanismi d’innesco di tale processo sono però diversi per le varie molecole. Per quanto riguarda gli alchilanti essi inducono la formazione di legami covalenti fra le basi azotate della molecola di DNA, portando alla formazione di coppie aberranti e quindi ad alterazioni genomiche che vengono riconosciute dai sistemi di sorveglianza cellulare portando ad una perdita del privilegio immunologco. I chemioterapici antimitotici inducono l’apoptosi soprattutto tramite un blocco del ciclo cellulare in metafase-anafase. Gli antibiotici citotossici agiscono con meccanismi plurimi quali prevenire lo svolgimento e la separazione dei filamenti del DNA, formare cross-link con i filamenti di DNA, inibire la topoisomerasi II, generare ROS e alterare la sintesi dell’RNA, oltretutto essi hanno anche una certa azione alchilante. Da un punto di vista clinico l’alopecia può insorgere pochi giorni dopo il primo trattamento oppure, più comunemente, dopo circa 2 settimane; tale modalità di caduta viene definita anagen effluvium. Se la perdita avviene mesi dopo l’inizio della terapia si parla di telogen effluvium; ciò è dovuto al blocco dell’anagen, con entrata in catagen e conseguente induzione della fase telogen. La CIA è generalmente reversibile e, di solito, i capelli cominciano a ricrescere già durante la chemioterapia, mentre la ricrescita completa e definitiva avviene 3-6 mesi dopo l’ultimo trattamento, sebbene i capelli ricresciuti possano temporaneamente mostrare cambiamenti di colore e/o struttura. Raramente (circa il 20%) sono riportati casi di alopecia permanente, con ricrescita ridotta o assente. Questo tipo di alopecia è di solito associata all’utilizzo di alti dosaggi di chemioterapici, in particolare con la somministrazione di bisulfano e/o di ciclofosfamide ed è probabilmente la conseguenza di un danno citotossico alle cellule staminali dei follicoli. Tale danno se conduce alla distruzione completa delle cellule follicolari e del microambiente circostante esiterà in fibrosi e alopecia cicatriziale, mentre se la distruzione risulterà parziale si formeranno follicoli miniaturizzati con produzione di capelli sottili, corti e depigmentati dando clinicamente un diradamento del cuoio capelluto. Durante il trattamento ed in particolare dopo le prime due/tre settimane, la tricoscopia ed il tricogramma possono svelare i danni a livello dell’unità follicolare. Nel dettaglio, il tricogramma potrà indicare il tipo di caduta: in caso di anagen effluvium l’osservazione delle radici mostrerà un aumento dei capelli in anagen distrofico o spezzati; in caso di telogen effluvium il tricogramma mostrerà una diminuzione delle radici in anagen con conseguente aumento dei catagen-telogen nelle fasi precoci, mentre nelle fasi tardive prevarranno le radici in telogen. I primi segni tricoscopici compaiono circa tre-sei settimane dopo l’inizio della chemioterapia quando la modalità di caduta è di tipo anagen effluvium. Essi consistono in: black dots, flame hair, pohl pinkus, psudomoniletrix. Nelle settimane successive, associati a questi segni, possiamo trovare anche sparsi yellow dots. Se il trattamento chemioterapico è prolungato nel tempo è possibile osservare la ricrescita di alcuni capelli, che appaiono sottili, depigmentati, sparsi e di numero ridotto, sotto forma di circle hair, pigtail, o capelli vello. Essi rappresentano il prodotto dei follicoli piliferi che al momento dell’aggressione si trovavano in fase anagen tardiva, catagen o telogen. In tale fase, l’insulto non ha prodotto un danno importante al follicolo pilifero, che, quindi, riesce successivamente a riattivarsi e produrre il pelo.

Al termine del trattamento chemioterapico sul cuoio capelluto è possibile osservare in tricoscopia numerosi capelli in ricrescita di calibro e lunghezza variabile, variamente pigmentati, con aspetto di capelli lunghi, fini e sottili, presenza di circle hair, pigtail in numero elevato e sparsi; rari, invece, e di consistenza variabile sono i capelli terminali. Possono residuare sparsi back dots. Un altro segno che pure è stato riportato dopo il termine del trattamento è quello di capelli in ricrescita, che nella porzione distale appaiono non pigmentati, mentre a pochi millimetri dall’emergenza dell’ostio follicolare cominciano a pigmentarsi assumendo un aspetto bicolore (bianchi alla punta e pigmentati alla base). Per spiegare tale fenomeno sono state formulate diverse ipotesi: una riattivazione dei melanociti follicolari che erano stati danneggiati, ma non distrutti dalla tossicità del farmaco; la ripresa di un blocco del trasporto melanocitario indotta da farmaci quali i taxani; infine è stata ipotizzata una migrazione dei melanociti amelanotici residenti a livello delle guaine epiteliali, richiamati e attivati dai segnali morfogenetici generati a livello del follicolo . Circa 2-3 mesi dopo la fine della chemioterapia il tricogramma può mostrare un aumento dei capelli in fase anagen, la riduzione o quasi scomparsa delle radici in anagen distrofico e la relativa diminuzione o assenza dei capelli in telogen.

All’osservazione in tricoscopia si assiste al progressivo aumento delle unità follicolari, all’allungamento dei capelli che andranno a ricostituire una densità ed un aspetto del patrimonio preesistente; in alcuni casi invece essi possono assumere un aspetto diverso: in pazienti che in precedenza avevano capelli lisci essi potranno diventare convoluti; in altri casi essi potranno apparire più sottili e depigmentati. È interessante notare che spesso al momento della ricrescita si osserva la fuoriuscita di 3-5 capelli da un unico ostio follicolare determinando un vero e proprio ingombro delle unità. Tale osservazione è l’espressione clinica di un processo ben descritto da Paus. Nello specifico in seguito ad un danno acuto in anagen, dopo la fase di caduta, dal momento in cui l’insulto viene meno, si ha un rientro massivo in anagen di tutti i follicoli contemporaneamente, dando origine al fenomeno della sincronizzazione dell’anagen. Quest’ultimo concetto è molto importante, perché nei mesi successivi alla ricrescita, di norma dopo circa un anno, si va incontro ad una progressiva desincronizzazione dei follicoli, alcuni dei quali cadranno in telogen anche se di dimensioni minori riducendo il numero di capelli per unità follicolare. Tale fenomeno costituisce il processo fisiologico di ripristino del normale turnover follicolare. Esso si esprime clinicamente con una caduta più o meno importante di capelli. È sempre necessario tenere a mente questo aspetto per rassicurare il paziente.

Alopecia da target therapy

Il rischio di alopecia, in seguito alla somministrazione di questa molecole, risulta maggiore rispetto al placebo, ma minore se confrontato con i chemioterapici di vecchia generazione; attualmente si stima un’incidenza di circa il 14.5% rispetto al 65% dei vecchi chemioterapici. Quelli presentati sono dati che probabilmente sottostimano la realtà da una parte per la relativamente recente introduzione di queste molecole, dall’altra perché esse provocano una alopecia meno eclatante e meno acuta rispetto a quella dei chemioterapici citotossici, con modifiche della texture e/o del colore dei capelli che spesso vengono sottovalutate. Di seguito riportiamo le diverse manifestazioni cliniche e il relativo meccanismo patogenetico prendendo in considerazione le singole categorie di farmaci.

► Inibitori della membrana cellulare

  • Inibitori dell’EGFR: le alterazioni dei capelli sono generalmente temporanee, con ripristino di un normale ciclo follicolare alla sospensione della terapia. Tali alterazioni possono interessare tutti i distretti del corpo. A livello del cuoio capelluto, si manifesta con un quadro simil-alopecia androgenetica, caratterizzato da capelli radi, sottili, fragili e depigmentati, con interessamento diffuso a tutta la superficie del cuoio capelluto ma prevalente a livello fronto-parietale. Possono presentarsi, inoltre, quadri con capelli radi, spessi e arricciati con ridotta crescita. Infine, sono stati riportati anche casi di quadri francamente infiammatori con lesioni pustolose e possibili esiti cicatriziali. I cambiamenti delle ciglia sono caratteristici, con peli che diventano lunghi, rigidi e più spessi (tricomegalia). L’arricciatura verso l’interno può causare cheratite. Le sopracciglia possono anch’esse infoltirsi e svi-luppare ipertricosi della cute perioculare o della glabella. Le donne possono manifestare ipertricosi a livello del labbro superiore, mentre si può notare una ridotta necessità di rasare la barba maschile.
  • Inibitori di C-Kit e Bcr-Abl PDGFR: non sono riportati effetti collaterali a livello del cuoio capelluto con gli inibitori di Bcr-Abl e del PDGFR; sembrerebbe, infatti, che il segnale di PD-GFR sia utile, ma non indispensabile per la crescita e il ciclo del follicolo pilifero, quindi una sua inibizione risulterebbe ben compensata dagli altri sistemi attivi.

L’inibizione di C-Kit invece, si associa ad alterazione della pigmentazione. C-Kit, infatti, è implicato nei processi di pigmentazione e, in particolare, il segnale SCF/C-Kit è fondamentale per lo sviluppo e la differenziazione dei melanociti del follicolo pilifero.

  • Inibitori delle  chinasi  e dell’angiogenesi: con questo gruppo di farmaci l’alopecia compare dalla seconda alla ventottesima settimana dall’inizio della terapia con sorafenib ed è caratterizzata da capelli sottili, arricciati e pigmentati. In corso di terapia con sunitinib, invece, i capelli appaiono depigmentati e generalmente riacquistano la pigmentazione pre-esistente dopo due-tre settimane dalla sospensione del trattamento, tanto che, se si utilizzano somministrazioni intermittenti, è possibile osservare capelli con bande alternate di pigmentazione e depigmentazione. Il meccanismo patogenetico sembra essere associato al segnale del recettore per il fattore di crescita delle cellule staminali che modula i geni che codificano per la tirosinasi.

► Inibitori del segnale molecolare intracellulare  

  • Inibitori  BRAF: è stata osservata una caduta di capelli diffusa nel 60% dei pazienti in trattamento con vemurafenib, mentre essa non è apprezzabile nei pazienti in trattamento con dabrafenib. Oltre alla caduta, si osservano alterazioni strutturali, con capelli arricciati, impettinabili, simil-matthing. Nel 60% dei pazienti in corso di terapia con vemurafenib i capelli appaiono sottili, torti con spire irregolari, mentre nell’ 80% dei pazienti che assumono dabrafenib si associano anche alterazioni della pigmentazione del fusto del capello .
  • Inibitori MEK: l’alopecia può interessare fino al 17% dei pazienti che assumono inibitori di MEK e risulta diffusa e non cicatriziale. Sono descritti anche casi di depigmentazione dei capelli e di tricomegalia. I meccanismi patogenetici non sono ancora del tutto chiari.
  • Inibitori m-TOR pathway: non sono stati riportati effetti collaterali a livello del cuoio capelluto in seguito alla somministrazione di tali molecole

. • Inibitori delle Chinasi ciclin-dipendenti (CDKS): le Chinasi ciclin-dipendenti (CDKS) sono delle serin/treonin chinasi che regolano il ciclo cellulare, esistono infatti, inibitori di tali chinasi che fungono da regolatori negativi del processo di divisione cellulare. Gli inibitori delle CDK stanno emergendo come terapie efficaci in diversi tipi di neoplasie. Una recente metanalisi ha riportato un’incidenza di alopecia indotta da palbociclib, ribociclib e abemaciclib compresa tra il 7.4% e il 33.2% e in particolare, nel sottogruppo di pazienti che ricevevano il ribociclib c’era un rischio maggiore di sviluppare alopecia rispetto al sottogruppo che riceveva il palbociclib. Relativamente all’aspetto clinico non sono stati descritti particolari pattern di caduta, ma solo riferimenti di alopecie sia parziali che diffuse. Non sono, invece, disponibili dati relativi al grado di alopecia.

  • Inibitori del segnale Hedgehog: l’alopecia compare più frequentemente in corso di vismodegib (58-63 %) rispetto al sodegenib (43%) [34-36]. Insorge come alopecia diffusa su tutto il cuoio capelluto, ma può interessare tutti i peli del corpo. Presenta caratteristiche diverse rispetto a quelle all’alopecia da citotossici, in quanto insorge in maniera graduale e più tardivamente, generalmente dopo due-quattro mesi dall’inizio del trattamento e il pattern di caduta è di tipo telogen effluvium. Infatti, il meccanismo patogenetico alla base di tale caduta non è legata al danno tossico al cheratinocita follicolare bensì ad una interruzione del segnale di Hegehog (Hh) sul ciclo follicolare con mancato rientro in anagen.

Alopecia da ormonoterapia

Questo effetto collaterale è stato riportato nel 1–1.5% delle pazienti sottoposte a terapia ormonale con inibitori dell’aromatasi. In questi casi si osserva un progressivo arretramento bitemporale delle linee di attaccatura fronto-temporale (golfi), si nota poi un certo grado di miniaturizzazione dei capelli a livello dei golfi e dell’area centrale del cuoio capelluto (Fig. 10.9). L’aromatasi (P450arom) è un enzima localizzato a livello della guaina epiteliale interna, essa converte l’androstenedione in estrone e il testosterone in estradiolo, riducendo quindi i livelli di testosterone e DHT. I livelli di questo enzima nei follicoli delle aree frontali e occipitali delle donne sono maggiori rispetto alle stesse aree nell’uomo. Gli estrogeni sono dei potenti modulatori della crescita dei capelli, per cui l’aromatasi svolge un’importante azione protettiva a livello dei follicoli piliferi della linea frontale. Bloccando la sintesi degli estrogeni, a livello del follicolo pilifero gli inibitori dell’aromatasi inducono un relativo aumento dell’attività della 5α-reduttasi che quindi metabolizza una maggiore quantità di testosterone trasformandolo in DHT. Questo causa un accorciamento della fase anagen con conseguente perdita di capelli a tipo pattern maschile, mimando una aopecia androgenetica femminile (FAGA), che chiamiamo “pseudo alopecia androgenetica a pattern maschile”. Ovviamente non si tratta di una FAGA, ma dev’essere considerata un’alopecia chemio-indotta. A tal proposito, per meglio differenziare questo quadro da una vera FAGA, va sottolineato il mancato coinvolgimento dell’area anteriore e del vertice .

Per quanto riguarda gli altri farmaci utilizzati nell’ormonoterapia del tumore della mammella, essi pur agendo a vari livelli e con vari meccanismi, hanno il medesimo effetto finale di inibire l’attività estrogenica. Per tale motivo, gli effetti a livello del follicolo pilifero saranno visibili anche nell’area anteriore e al vertice e non solo nelle aree di appannaggio dell’aromatasi. Sul piano clinico, l’aspetto è pressoché sovrapponibile a quello provocato dagli inibitori dell’aromatasi, provocando quindi un quadro clinico di pseudo-alopecia androgenetica.

 

Alopecia indotta da radioterapia

Come già descritto precedentemente, le cellule del follicolo pilifero in fase anagen sono altamente proliferanti, per tale motivo, così come risultano particolarmente suscettibili al danno da chemioterapici, esse sono analogamente colpite dal danno da radiazioni. La radioterapia può causare alopecia in seguito a irradiazione whole brain (WBRT) per metastasi cerebrali oppure dopo radioterapia curativa, per esempio per tumori cerebrali. Il tipo di caduta è in anagen effluvium e la possibilità di ricrescita dipende dai dosaggi e dalle modalità di irradiazione. In particolare, 3GY provocano un’alopecia reversibile, mentre dosaggi superiori a 5GY si possono associare allo sviluppo di un’alopecia permanente.

L’osservazione in tricoscopia nella fase acuta rileva, frequentemente black dots e flame hair, indici di un danno acuto e di grave entità. Successivamente, nei casi reversibili, si osserverà una prevalenza di yellow dots, circle hair e capelli sottili in ricrescita. Nei casi non reversibili, invece, prevarrà la presenza di white dots, che sono indici di fibrosi follicolare. In questi casi ai bordi della chiazza, si possono osservare un certo grado di anomalie del fusto, soprattutto i pili torti. Essi si formano in seguito alla trazione del follicolo dovuta alla fibrosi, che ne modifica l’angolo di emergenza del pelo. Accanto a tali reperti sono, inoltre, apprezzabili numerose teleangectasie e la cute appare particolarmente atrofica (Fig. 10.10). La patogenesi di questo quadro è associata all’induzione dell’apoptosi e necrosi dei cheratinociti del follicolo da parte del danno radio-indotto con il risultato di un anagen effluvium acuto, nonché dall’innesco di importanti processi flogistici che, com’è noto, rappresentano l’anticamera della fibrosi.

 

TERAPIA

Attualmente non sono disponibili delle linee guida univoche per la prevenzione e la terapia dell’alopecia in corso di oncoterapia. Riteniamo opportuno distinguere il management dell’alopecia indotta dai chemioterapici citotossici che, come ampiamente esposto nei capitoli precedenti, deriva da un danno tossico aspecifico a livello del follicolo pilifero; dell’alopecia indotta dalle nuove target therapy per le quali i meccanismi sono meno definiti, ma verosimilmente più selettivi; dell’alopecia indotta da terapia ormonale e dell’alopecia indotta da radioterapia

► Management dell’alopecia da chemioterapici citotossici: Le terapie proposte sono molteplici, ma quasi nessuna ha alla base un razionale valido e alcune possono addirittura risultare dannose. Innanzitutto, è importante distinguere le differenti modalità di intervento, se da una parte infatti sono stati proposti metodi atti a prevenire il danno tossico da chemioterapici, dall’altro hanno trovato applicazione sostanze capaci di promuovere l’attività del follicolo pilifero. Tra i primi troviamo, ad esempio, lo scalp cooling (o ipotermia del cuoio capelluto) e i vasocostrittori topici, tra i secondi, invece, possiamo annoverare il minoxidil, il bimatoprost e il calcitriolo. Lo scalp cooling ha come razionale di utilizzo il raffreddamento del cuoio capelluto con conseguente vasocostrizione a tale livello da cui deriva una riduzione dell’afflusso di farmaco alla papilla del follicolo pilifero. Questa metodica è utilizzata in molti paesi e i tassi di risposta, in termini di prevenzione dell’alopecia variano dal 50 all’80%. Di recente tale metodica è stata approvata dall’FDA americana come l’unico rimedio efficace per la prevenzione della CIA. La compliance dei pazienti è alta, in previsione di una minore caduta di capelli, anche se in alcuni casi si può associare mal di testa, discomfort, nausea, xerosi e danno da freddo dello scalpo . A tal proposito, però, è bene ricordare che pazienti in trattamento con farmaci quali i derivati del platino presentano importanti neuropatie periferiche che limitano fortemente la tolleranza al freddo, per tale motivo, in questi pazienti l’utilizzo del caschetto refrigerato non è consigliato. Lo scalp cooling è, invece, raccomandato per i pazienti affetti da tumori solidi candidati a regimi chemioterapici ad alto rischio di sviluppare CIA. Ad ogni modo il rischio di sviluppare metastasi del cuoio capelluto va sempre valutato, e in utile associare al minoxidil l’idrocortisone topico. Quest’ultima molecola, infatti, agirebbe localmente non solo con un’azione antinfiammatoria, ma anche come fattore permissivo per l’attivazione dell’esochinasi, favorendo l’utilizzo di glucosio e glicogeno e la produzione di energia all’interno delle cellule, dando un’ulteriore spinta alla crescita del follicolo pilifero. Laddove i tempi fossero adeguatamente lunghi (circa un mese) prima di cominciare la chemioterapia stessa, potremmo sfruttare, in linea teorica, il telogen effluvium indotto dal primissimo utilizzo del minoxidil, in modo da potenziare l’efficacia dello scalp cooling una volta iniziata la terapia oncologica. Il bimatoprost topico allo 0,03%, un analogo delle prostaglandine, è un’altra molecola di cui è stato proposto l’utilizzo nella prevenzione della CIA. L’effetto del bimatoprost si esplica soprattutto nel proteggere il follicolo in anagen e nel migliorare le performance di crescita dei follicoli in anagen precoce. Per questi motivi, trova la stessa applicazione del minoxidil in termini di tempistiche di utilizzo. Un altro agente utilizzato per promuovere la ricrescita è il calcitriolo (1,25-diidrossivtamina D3). Esso ha numerosi effetti sui cheratinociti, inclusa l’inibizione della sintesi del DNA attraverso l’arresto del ciclo cellulare in interfase G0/G1, provocando la differenziazione cellulare, l’inibizione dell’espressione di Ki67 e l’inibizione della crescita cellulare. A nostro avviso, la terapia topica può essere sostituita dall’utilizzo sistemico della vitamina D3 nella fase post-chemioterapia per i noti effetti di questa vitamina sulla morfogenesi del follicolo pilifero, potendo quindi ulteriormente potenziare la contemporanea applicazione topica di minoxidil e/o analoghi delle prostaglandine. Soref et Al hanno valutato l’efficacia dei vasocostrittori topici epinefrina e norepinefrina nella prevenzione dell’alopecia indotta da radio e chemioterapi. L’induzione del segnale dell’ipossia indotto dalla vasocostrizione locale può aiutare le cellule del follicolo pilifero a mantenere la loro funzione nonchè a promuovere la neoangiogenesi e inoltre tali molecole ridurrebbero la quota di chemioterapico che raggiunge il follicolo stesso. L’utilizzo di vasocostrittori topici ha il vantaggio di fornire un’applicazione efficace e a lunga durata. A nostro avviso, infatti il limite dello scalp cooling la sua durata d’azione limitata al tempo di applicazione sul cuoio capelluto. Sappiamo, infatti, che l’emivita dei farmaci sono molto più lunghe del tempo di infusione, quindi anche gli effetti tossici saranno protratti nelle settimane successive. Il raffreddamento del cuoio capelluto, e quindi la conseguente vasocostrizione locale, limitata al tempo di infusione dei farmaci non potranno ovviamente prevenire il danno che si verifica nelle settimane tra una somministrazione e l’altra. L’applicazione quotidiana, anche più volte al giorno, di vasocostrittori topici, invece, potrebbe ovviare a questo problema e quindi garantire risultati migliori in termini di prevenzione della CIA. Anche l’Alfa tocoferolo è stato proposto come un possibile trattamento preventivo dell’alopecia da adriamicina, ma la sua efficacia non è stata dimostrata. Per quanto concerne gli interventi farmacologici, il minoxidil topico al 2 e al 5% è tra quelli maggiormente utilizzati. Gli studi clinici che hanno valutato l’efficacia di tale molecola nella prevenzione e nel trattamento della CIA non hanno riportato buoni risultati pur essendo un farmaco ben tollerato e utile nell’accelerare la ricrescita. Secondo la nostra opinione l’utilizzo del minoxidil nella prevenzione della CIA è del tutto sconsigliato, non solo per l’inefficacia dimostrata dagli studi clinici, ma soprattutto perché non esiste un razionale scientifico alla base del suo impiego. Sebbene il meccanismo d’azione del minoxidil, infatti, non sia ancora del tutto chiarito, è noto che esso induce una prevalente vasodilatazione previa apertura dei canali del potassio a livello delle cellule muscolari lisce delle arteriole periferiche, con conseguente rallentamento del circolo e quindi con una maggiore permanenza del farmaco a livello del follicolo pilifero. Questo, inoltre, sembrerebbe anche in grado di indurre l’espressione del VEGF e quindi l’angiogenesi, nonché di attivare la prostaglandina-endoperossidasi sintetasi 1 che a sua volta è uno stimolatore della crescita dei capelli. Tale effetto è quindi esattamente contrario a quello dello scalp cooling che, invece, è stato dimostrato essere efficace sia su base teorica sia nella pratica clinica. L’effetto finale del minoxidil sarebbe, dunque, quello di accorciare la fase telogen e allungare la fase anagen. Essendo la fase anagen quella maggiormente suscettibile al danno da parte dei chemioterapici citotossici, è chiaro come questo farmaco non debba essere preso in considerazione durante il trattamento chemioterapico. Il minoxidil può essere utilizzato nel periodo post chemioterapia per ottenere il massimo dell’effetto terapeutico, legato a quanto precedentemente esposto, accelerando la ricrescita e potenziando le unità follicolari. Il momento più idoneo per l’introduzione di questa terapia può essere ben individuato considerando l’emivita dei chemioterapici utilizzati e tramite l’utilizzo della tricoscopia e del tricogramma. Infatti, possiamo pensare di utilizzare tali strumenti per capire a quale tipo di danno siamo di fronte e quali siano gli approcci terapeutici da attuare, senza mai perdere di vista quella che è la terapia oncologica in atto. Dobbiamo sempre considerare, infatti, che il nostro intervento non agirà solo in maniera immediata, ma avrà effetti anche nelle settimane successive. la presenza di numerosi black dots alla tricoscopia, per esempio, è indice di un danno acuto e importante in fase anagen. Questo dato, quindi, ci obbliga ad intensificare le terapie quali lo scalp cooling, i vasocostrittori e i cortisonici topici, al fine di proteggere quanto più possibile i follicoli. Il riscontro di pohl pinkus, invece, ci fa capire che si è verificato si un danno, ma esso non è stato tale da interrompere completamente l’attività mitotica del follicolo. L’individuazione precisa delle tempistiche ci potrebbe permettere di intervenire esattamente quando il danno è più importante, e quindi prevenirlo utilizzando al meglio gli approcci terapeutici sopracitati. Infine la presenza di numerosi yellow dots, indica che i follicoli si trovano in una posizione protetta dal danno acuto. In tale situazione, il management sarà particolarmente delicato. È stato ipotizzato, infatti, che un danno ipossico prolungato è capace, in ultima analisi, di indurre la neogenesi delle cellule staminali del follicolo pilifero, quindi l’uso indiscriminato di scalp cooling e vasocostrittori topici in queste circostanze potrebbe essere addirittura deleterio qualora il paziente dovesse continuare ad essere sottoposto a successivi cicli di chemioterapia

 ► Management dell’alopecia da target therapy: se è vero che non esistono approcci terapeutici approvati per la prevenzione della CIA da chemioterapici citotossici, fatta eccezione per lo scalp cooling, ciò lo è ancor di più per l’alopecia associata alle più recenti terapie target.

Una volta conosciuti i meccanismi alla base dell’alopecia, le strategie di prevenzione e trattamento potrebbero ipoteticamente essere molto specifiche, agendo in maniera selettiva sul processo bloccato dal farmaco. Attualmente, come precedentemente accennato, sono ancora pochi gli studi in corso. Quindi alla luce delle scarse conoscenze attuali e degli ancora più scarsi mezzi approvati a disposizione possiamo consigliare in tutti i pazienti:

  • l’utilizzo di scalp-cooling/vasocostrittori, allo scopo di ridurre la quota di farmaco che arriva al follicolo pilifero in modo da preservarlo;
  • la somministrazione di vitamina D per via orale allo scopo di regolare la morfogenesi e il tournover follicolare e in casi selezionati prendere in considerazione l’impiego di gel o unguenti a base di cortisone e derivati della vitamina D.

Altre strategie potranno essere valutate di caso in caso sulla base della patogenesi dell’alopecia:

  • In tutti i casi di ritardato anagen il minoxidil protrebbe dare ottimi risultati agendo come induttore dell’anagen.
  • Nei casi di anagen prolungato il minoxidil potrebbe essere comunque efficace: mantenendo l’anagen o inducendo il telogen anticipando il successivo rientro in anagen. Quest’ultima azione è efficace nel prevenire il fenomeno del kenogen.

 

► Management dell’alopecia da ormonoterapia: riguardo la patogenesi di questo tipo di alopecia, il rimedio più efficace sarebbe l’applicazione topica di estrogeni. Nonostante terapie di questo genere siano riportate in letteratura, a nostro avviso esse sono da sconsigliare a causa dei possibili effetti oncogenici qualora queste molecole fossero assorbite a livello sistemico. Ricordiamo, infatti, che questi farmaci vengono somministrati in pazienti affetti da tumore della mammella ormono-sensibili, per cui l’entrata in circolo di estrogeni o anti-androgeni potrebbe favorire la crescita tumorale. Nello specifico sono stati proposti il 17β-estradiolo e il 17α-estradiolo. Per quanto riguarda il primo esso è un ormone a tutti gli effetti, capace di legare il recettore per gli estrogeni, e quindi per i motivi sopra esposti non può trovare utilizzo in pazienti con cancro mammario ormono-sensibile. Il 17α-estradiolo è un’isoforma del 17β-estradiolo incapace di legare il recettore, per tale motivo era stata ritenuta una molecola idonea all’utilizzo in questa categoria di pazienti. È stato dimostrato però che essa è capace di agire aumentando la trasformazione di testosterone in 17β-estradiolo e androstenedione in estrone probabilmente tramite un potenziamento dell’aromatasi. In ultima analisi, dunque, anche questa isoforma inattiva sui recettori potrebbe risultare dannosa, per cui se ne sconsiglia l’utilizzo. Nell’impossibilità di utilizzare molecole estrogeniche si era ipotizzato l’impiego di molecole anti-androgene, in modo particolare lo spironolattone. Esso agisce in competizione con il legame al recettore dell’aldrosterone a livello renale; tuttavia, è capace di legare anche il recettore del DHT; per tale motivo, se ne sono sfruttati gli effetti antiandrogeni. L’inibizione del legame del DHT al suo recettore, però, determinerebbe una cascata di eventi che si concluderebbero con un’aumentata produzione di estrogeni. Questa inibizione, infatti, determinerebbe un aumento della concentrazione di DHT con rallentamento della trasformazione del testosterone in DHT da parte della 5-a-reduttasi con un accumulo quindi a monte di testosterone. Il testosterone accumulato, essendo rallentata la trasformazione in DHT, subirebbe una maggiore trasformazione in 17β-estradiolo da parte dell’aromatasi essendo esso verosimilmente più affine per il legame con tale enzima rispetto ai farmaci somministrati. Come accennato sopra, questo discorso vale se consideriamo che gli estrogeni prodotti a livello cutaneo possano essere assorbiti a livello sistemico. Attualmente non sappiamo se e in quale misura tale assorbimento avvenga, ma un altro aspetto che va valutato è quello del rischio di metastatizzazione cutanea.

 Non potendo, dunque, agire sovvertendo i meccanismi patogenetici alla base, possono trovare utilizzo farmaci quali il minoxidil e/o il bimatoprost che, sebbene aumentino la concentrazione di farmaco nei capillari perifollicolari, risultano comunque utili nel sostenere la crescita del capello. Infine, un’altra molecola che pure potrebbe trovare utilizzo è la cetirizina. Si tratta di un antistamnico anti-H1 che è stato dimostrato in grado aumentare la sintesi delle prostaglandine PGE e PGFα, con un’azione simile a quella del bimatoprost, e di ridurre l’infiammazione e la produzione di PGD2. Tale attività sarebbe indipendente da quella antistaminica.

► Management dell’alopecia indotta da radioterapia: Al momento non sono disponibili terapie efficaci, in modo particolare quando si verifica un’alopecia di tipo permanente con completa distruzione del follicolo e successiva sostituzione da parte di tessuto fibroso. Tuttavia, nei casi di alopecia temporanea, risulta molto utile l’impiego del minoxidil. Questo farmaco, infatti, oltre che avere un’azione sulla crescita del capello, è capace di inibire l’attività della lisil-idrossilasi con conseguente produzione di collagene povero di idrolisine e quindi con un effetto finale anti fibrotico. Allo scopo di contrastare la fibrosi possono essere utilizzati anche preparazioni in unguento a base di collagenasi o varie tecniche di biorivitalizzazione. Anche il triamcinolone acetonide possiede una duplice azione antiinfiammatoria e anti fibrotica mediate dall’induzione della sintesi di lipocortina e dall’effetto vasocostrittore. Esso inoltre inibisce l’adesione e la proliferazione cellulare [In sinergia all’effetto anti fibrotico di tali terapie possono trovare impiego anche prodotti topici a base di vitamine E e C, per contrastare l’azione dei radicali liberi generati dalle radiazioni e dall’infiammazione che ne deriva a livello cutaneo. Qualora la ricrescita non occorresse o non fosse soddisfacente è poi possibile ricorrere a approcci più invasivi. Una possibile soluzione sarebbe quella di effettuare un lipofilling della zona interessata in modo da ristabilire un idoneo tessuto sottocutaneo di supporto per garantire un miglior apporto ematico, di nutrienti e di fattori di crescita, in grado di accogliere un successivo trapianto di unità follicolari. In alternativa possono essere eseguiti dei lembi di rotazione utilizzando un’area donatrice integra ed eventualmente degli espansori cutanei per aumentare la superficie di cute utilizzabile

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